Pensate a un mucchio di sabbia. Un granello di sabbia isolato non basta a fare un mucchio. Se aggiungiamo un altro granello, non otteniamo ancora un mucchio di sabbia. Se ne aggiungiamo un altro, abbiamo tre granelli e questo non sembra ancora un mucchio di sabbia. Ma è davvero possibile fare un mucchio di sabbia, aggiungendo un granello di sabbia in più a qualcosa che non è un mucchio di sabbia? Ma allora, com’è possibile che esistano dei mucchi, di qualsiasi cosa? Proviamo a ribaltare il problema. Se tolgo un granello di sabbia da un mucchio di sabbia, il mucchio continua a esserci.
MUCCHIO - 1 GRANELLO = MUCCHIO
Ma c’è un granello di sabbia che, una volta tolto, trasforma il mucchio in non-mucchio? Questo tipo di problemi si chiamano paradossi, perché fanno sembrare incredibili cose a cui siamo abituati e che sembrano “normali”. Insomma, come si risolve il mistero del mucchio di sabbia? Il paradosso del mucchio di sabbia è stato inventato da Eubulide. Si chiama anche paradosso del sorite perché in greco “mucchio” si diceva “soros”. Ecco le risposte di alcuni bambini. Una bambina di 8 anni dice: «Per avere un mucchio abbiamo bisogno di almeno tre granelli. Così, infatti, iniziamo a vedere la forma». Un bambino di 9 anni prosegue: «Il numero non è l’unica cosa importante: per avere un mucchio bisogna che ci sia una forma». Oltre alla quantità, conta anche la “qualità”, il modo e la forma della disposizione.
A questo non tutti pensano. Ma ci sono altri esempi che potrebbero aiutarci a comprendere la natura del problema? Vi vengono in mente casi simili a quelli del mucchio? Ho proposto ad alcuni bambini di considerare il caso di un quaderno: quanti fogli possiamo strappare, continuando ad avere un quaderno? Basta un foglio? Ce ne vogliono due? Consideriamo anche un altro caso: prendiamo il colore rosso sul computer, in un programma di grafica o disegno.
Se spostiamo leggermente il cursore verso il basso, il colore rosso diventa sempre più scuro: abbiamo una sola parola, “rosso”, per indicare molte differenti sfumature di colore, ma a un certo punto ci accorgiamo che la parola “rosso” non va più bene. Il paradosso del sorite ci aiuta a riflettere sul fatto che c’è una “continuità” nei fenomeni del mondo attorno a noi che le parole non riescono a cogliere sempre in modo preciso: le parole introducono delle discontinuità che ci permettono di comprenderci e i loro significati restano in parte vaghi, come se avessero dei contorni sfumati (ce ne accorgiamo quando non sappiamo più dire se un mucchio è un mucchio, se un rosso è rosso e così via). Un bambino di 9 anni mi ha proposto un altro esempio: prendiamo una parola della lingua italiana, come ad esempio “FILOSOFIA”. Possiamo continuare a riconoscerla come la parola originale, anche se togliamo una lettera:
FILSOFIA
Ma l’effetto può essere diverso, a seconda della lettera rimossa; inoltre, se togliamo altre lettere arriviamo a un punto in cui non riconosciamo più la parola iniziale. E ancora: il caso è diverso da quello dell’anagramma, quando le lettere ci sono tutte, ma sono messe in modo da non seguire la “forma” della parola: ad esempio ALIFFOISO. In questo caso, le lettere ci sono tutte (dal punto di vista del numero, della quantità), ma la forma non è quella della parola, come nel caso dei moltissimi granelli di sabbia sparsi a terra: con la forma giusta formerebbero un mucchio.
Ultima cosa su cui riflettere: quello che abbiamo detto a proposito di parole come quaderno o di aggettivi come rosso, vale anche per aggettivi come giusto, buono, amico e così via?